Ferite Acute e Ferite Croniche, possiamo trattarle allo stesso modo?

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L’autore ripercorre le tappe del processo di guarigione naturale  (wound healing) delle ferite acute, per spiegarne le differenze con quello delle ferite croniche, difficili e non-healing. 

La Vulnologia/Wound Care si occupa di queste ultime, che anziché ferite croniche sarebbe più opportuno chiamare lesioni cutanee croniche o ulcere cutanee per evidenziare la loro profonda differenza.

Il know-how del vulnologo non deve soltanto essere rivolto a saperle medicare in modo corretto, ma anche a saperle inquadrare correttamente dal punto di vista diagnostico, per poter attuare una corretta terapia non solo locale, ma anche generale ed ottenere così  una guarigione il più possibile stabile ed evitarne le recidive. In una parola potremmo dire che va messa in atto una medicAZIONE ed una mediCALcare completa a 360°.

Introduzione

Da quando esiste l’uomo sulla terra esistono inevitabilmente le ferite acute, cioè quelle lesioni di continuo della pelle, provocate per lo più da un trauma meccanico, fisico o chimico, che possono essere più o meno profonde e possono comportare o no perdite di sostanza di diversa entità, associandosi a volte anche a danni osteo-muscolari, vascolari e nervosi più o meno gravi.

Soltanto il progressivo aumento della durata della vita, legato al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e al progresso scientifico e tecnologico della Medicina, paradossalmente ha fatto si che le ferite potessero più frequentemente cronicizzarsi, diventando ferite difficili da far guarire.

Se a questo aggiungiamo poi anche una nostra condotta terapeutica basata su principi errati, possiamo ancor meglio comprendere perché una ferita acuta possa trasformarsi in un qualcosa di diverso e cioè una ferita cronica.

Ma procediamo per gradi e vediamo meglio di cosa stiamo parlando.

Come avviene la riparazione tessutale

Tutti sappiamo, anche per esperienze personali, che molte e quasi quotidiane lesioni di continuo della pelle si riparano spontaneamente e a volte nel caso in cui non superino lo spessore dell’epidermide lo fanno senza lasciare alcuna traccia. Mi riferisco ovviamente alle escoriazioni e abrasioni superficiali, come per un urto accidentale contro un mobile spigoloso o  una caduta dalla bicicletta o da una moto.

Questo accade perché la nostra epidermide si rinnova continuamente ogni 28 giorni durante tutto l’arco della nostra vita. Infatti, dallo strato basale germinativo vengono prodotti sempre nuovi cheratinociti (cellule principali dell’epidermide) in un turnover cellulare spontaneo e continuo di rinnovamento di tutto lo strato esterno della pelle (fig. 1).

In questi casi, quindi, non occorre fare praticamente nulla, perché sarà il miglior vulnologo esistente a provvedere: la Vis Sanatrix Naturae. Unico nostro compito sarà mantenere pulito il sito danneggiato anche con semplici lavaggi con acqua o soluzione fisiologica isotonica (0.9%) e potremo anche fare facili previsioni sui tempi di guarigione, dicendo al nostro paziente:“… la sua ferita guarirà in 7-14 giorni”.

Quando invece il trauma causa un danneggiamento che arriva più in profondità, coinvolgendo il derma e addirittura il tessuto sottocutaneo, le cose ovviamente cambiano e, se tutto andrà bene, la guarigione avverrà, anche spontaneamente, ma con la formazione di una cicatrice, praticamente una cucitura fibrosa biologica. 

Perché? La spiegazione è semplice.

Saranno le cellule del tessuto connettivale (derma) su cui poggia l’epidermide, i fibroblasti, a mettersi all’opera ricostruendo gradualmente il tessuto asportato dal trauma con un tessuto connettivale nuovo e ricco di vasi sanguigni neoformati (neoangiogenesi) a partire dai vasi danneggiati, stimolati da citochine ed ormoni di crescita cellulare. Provvederà il solito grande vulnologo naturale a mettere in atto i perfetti meccanismi di riparazione tessutale. 

In questi casi noi vulnologi aggiunti cosa dobbiamo fare? 

Primum non nocere, cioè  non facciamo danni noi: evitiamo di considerare tutte le ferite infette e trattiamole con disinfettanti solo se lo sono veramente.

I segni clinici tipici dell’infiammazione/infezione ci aiuteranno e basterà ricordarli: riscaldamento della zona lesionata (calor), arrossamento delle aree circostanti (rubor), edema (tumor), dolore spontaneo o provocabile al tatto (dolor) e limitazioni di funzione e movimento della parte (functio laesa). 

Ricordiamoci però che nei primi giorni dopo il trauma queste manifestazioni locali  non solo sono fisiologiche, ma sono  anche indispensabili  e non le si deve impedire! Infatti, esse testimoniano la reattività tessutale corretta, che partendo dall’infiammazione porta poi alla sequela di eventi locali che favoriranno la guarigione della ferita. Solo la loro persistenza dopo 5 giorni ci deve mettere in allarme e ci deve far pensare ad una possibile evoluzione dell’infiammazione in infezione locale, per la quale sarà giusto ricorrere ad antinfiammatori e disinfettanti e, se non basta, anche ad antibiotici per via generale specialmente se compaiono segni clinici anche di infezione generale (febbre e leucocitosi).

In definitiva molto dipenderà dal nostro rapporto con i microbi, che vivono in simbiosi con noi sulla superficie cutanea e dentro di noi in tutti gli apparati (microbioma o microbiota) o che  arrivano occasionalmente dall’esterno spesso con non buone intenzioni (microbi patogeni)  e dalla loro carica ed aggressività (fig.2). È molto diverso parlare di contaminazione (presenza locale di pochi batteri quiescenti), colonizzazione (questi batteri iniziano a riprodursi localmente) ed infezione locale (i batteri si riproducono attivamente) e generale (i batteri si diffondono attivamente per contiguità e per via ematica e linfatica).

Ovviamente tutto ciò accade in rapporto alla diversa reattività immunitaria del paziente. 

È una guerra e quindi vincerà il più forte! 

Per quello che ci riguarda, noi dobbiamo fare il minimo indispensabile: lavare e tenere pulita la ferita (wound cleansing/wound hygiene), evitarne la contaminazione batterica ulteriore, controllando che nella ferita non penetrino corpi estranei e nel caso rimuovendoli (lembi di vestiti lacerati, terriccio etc.) e coprendola per protegger i tessuti già sofferenti e quindi più sensibili a qualsiasi trauma fisico e/o meccanico.

In questi casi la previsione dei tempi di guarigione sarà più difficile e dipenderà da molte variabili : quantità di tessuto perso col trauma da riformare, età del paziente, condizioni di nutrizione ed idratazione, contaminazione, colonizzazione o infezione della ferita, difese immunitarie valide o depresse, stato cardiocircolatorio e respiratorio, eventuali problemi metabolici (soprattutto diabete), terapie in atto e patologie associate. 

Quasi un terno al lotto!

Ma perché?  

Per capirlo bene dobbiamo ricordare come siamo fatti.

Anatomia e Fisiologia della pelle

Senza scendere in troppi dettagli, basti ricordare che la pelle o cute è costituita da uno strato superficiale esterno, l’epidermide, che ci interfaccia col mondo esterno e per tale motivo è soggetta al rischio-trauma; ed una parte più profonda sottostante, il derma, che invece rappresenta un vero laboratorio in continua attività e che porta nutrimento e vita all’epidermide attraverso le terminazioni più sottili di vasi e nervi, che decorrono più in profondità ancora nel sottocutaneo.

Quindi in sintesi l’epidermide può svolgere il suo ciclo vitale regolare solo se le cose al di sotto di essa vanno bene.

Ecco allora il nocciolo del problema. La domanda sorge spontanea.

Il progresso ci ha dato solo vantaggi?

Certamente no, se dovessimo basarci solo sul meccanismo ed il tempo  necessario alla guarigione delle ferite. In età giovanile infatti tutto procede bene senza intoppi.

L’invecchiamento sempre maggiore della popolazione, ottenuto col progresso nel corso dei secoli invece, oltre a determinare di per sé un rallentamento dei normali processi di wound healing, ha comportato automaticamente il progressivo aumento delle patologie degenerative croniche, che alterano la parete dei grossi e piccoli vasi sanguigni, che andranno così incontro a progressiva chiusura.

In tal modo anche l’epidermide ne risente per l’inevitabile peggioramento macro e microcircolatorio, che unitamente ad un rallentamento fisiologico del metabolismo cellulare dovuto all’età va alla fine a determinare gravi turbe al normale e naturale processo di guarigione delle ferite acute.

Fasi di guarigione di ferite acute

La Vis Sanatrix Naturae, che non a caso ho definito come il miglior vulnologo possibile, quando la nostra salute é buona e non crea ostacoli patologici, prevede 3 tappe precise e ben scadenzate nel tempo:

  • Fase infiammatoria (3-5 giorni) durante la quale arrivano attraverso la circolazione ematica  nel sito della lesione  cellule deputate alla “pulizia” preliminare e all’allertamento del sistema immunitario difensivo (leucociti neutrofili, macrofagi e linfociti).
  • Fase proliferativa (15 giorni) nella quale si forma tessuto di granulazione riempitivo connettivale elaborato dai fibroblasti-muratori, ricco di nuovi vasi sanguigni formati per neoangiogenesi da quelli danneggiati.
  • Fase di rimodellamento (1-2 anni) durante la quale la cicatrice viene modificata lentamente dai fibroblasti-sarti fin quasi a scomparire in alcuni casi.

Quando non vengono rispettati i tempi delle prime due fasi, i tempi di guarigione anche delle ferite acute si allungano e queste si trasformano in ferite croniche, che non potranno guarire da sole, ma richiederanno l’intervento di uno specialista vulnologo (case manager), che da solo nei casi più semplici o ricorrendo all’aiuto di team multiprofessionali multispecialistici in quelli più complessi, provvederà a ricondurre la ferita ormai cronica nella corretta strada indicataci dal nostro vulnologo principe, la Vis Sanatrix Naturae.

Il prolungamento della fase infiammatoria può essere determinato dalla comparsa di un’infezione sia perché il paziente, soprattutto se anziano, può avere difese immunitarie carenti, sia perché i microrganismi aggressori sono particolarmente virulenti. 

In questi casi va individuato il nome e cognome del batterio killer per ricorrere ad una terapia antibiotica mirata e per lo più per via sistemica (orale, intramuscolare o endovenosa) piuttosto che locale.

Se invece ad allungarsi  è la fase proliferativa, significa che sotto ci sono gravi turbe macro e/o microcircolatorie che interessano il circolo arterioso causando ipoafflusso di sangue (arteriopatie ostruttive croniche aterosclerotiche e/o microangiopatie diabetiche ischemizzanti) oppure il circolo venoso (flebopatie croniche primitive come le vene varicose o secondarie come le sindromi postflebitiche) e linfatico (linfedemi) causando una grave stasi flebolinfatica causa di ipertensione venosa, edemi ed ulcere da stasi.

Ecco allora quando il grande vulnologo naturale non può farcela da solo a risolvere i problemi e necessita dell’aiuto di noi vulnologi aggiunti (fig.3).

Il messaggio che ne deriva è che anche nella Vulnologia/Wound Care è importante prima capire (diagnosi) e poi agire (terapia). Tutto il resto del know-how del vulnologo moderno (conoscenza delle medicazioni avanzate e loro tecnica di utilizzo) viene dopo.

Considerazioni conclusive

Sulla base di quanto fin qui detto potremmo concludere che:

  • Lo specialista vulnologo si occupa delle ferite croniche (quelle che dopo 3 settimane non tendono a guarire), delle ferite difficili (quelle che sono ancora lì dopo 30-40 giorni) e delle ferite non healing (presenti ancora dopo 60 giorni).
  • Le ferite suddette sono diverse dalle ferite acute e quindi vanno prima di tutto  studiate (diagnosi) per capire per quale motivo sono andate in fase di  stallo, divenendo croniche.
  • Non bisogna trattarle sempre con presidi e farmaci locali che non rispettino la fase infiammatoria (antinfiammatori e antibiotici locali) o quella proliferativa (disinfettanti aggressivi ed ossidanti) perché questa condotta scriteriata può essa stessa prolungarne la cronicità (errore iatrogeno).
  • A differenza delle lesioni acute richiedono una terapia antibiotica per lo più per via sistemica solo in caso di infezione accertata e con antibiotico/i mirato/i sulla base di un esame colturale con conta colonie ed antibiogramma.

Conclusione

Bisogna in definitiva avere ben chiari questi particolari per evitare errori di gestione delle ferite croniche, legati a concetti ormai superati ma – ahimé – mai aggiornati, a giudicare dai suggerimenti dati ai pazienti purtroppo ancora oggi da molti medici, infermieri, podologi e farmacisti e spesso ribaditi da pubblicità  fuorvianti in tv e sui social media.

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