Abstract
La trombosi venosa profonda (TVP) è una delle principali cause prevenibili di morbilità e mortalità in tutto il mondo. Il tromboembolismo venoso (TEV), che comprende la TVP e l’embolia polmonare (EP), colpisce circa 1 persona su 1.000 e contribuisce a 60.000-100.000 decessi all’anno. La normale fisiologia del sangue dipende da un delicato equilibrio tra fattori pro e anticoagulanti.
La Triade di Virchow determina la moltitudine di fattori di rischio per TVP in tre elementi fondamentali che favoriscono la formazione di trombi: stasi venosa, danno vascolare e ipercoagulabilità. I test clinici, biochimici e radiologici vengono utilizzati per aumentare la sensibilità e la specificità per la diagnosi di TVP.
La terapia anticoagulante è essenziale per il trattamento della TVP. Con poche eccezioni, la terapia standard per la TVP è costituita da antagonisti della vitamina K (VKA) come il warfarin con eparina o bridging con eparina frazionata. Più recentemente, numerosi studi clinici su larga scala hanno convalidato l’uso di anticoagulanti orali diretti (DOAC) al posto del warfarin in casi selezionati.
In questa recensione, riassumiamo la patogenesi, l’epidemiologia e la gestione medica della TVP, con particolare enfasi sulla terapia anticoagulante e sul ruolo dei DOAC nell’attuale algoritmo di trattamento.
Indice
Introduzione
Il tromboembolismo venoso (TEV), rappresenta la terza malattia cardiovascolare più frequente insieme alla cardiopatia ischemica e l’ictus. Presenta due manifestazioni cliniche, la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare (EP), strettamente correlate tra loro, essendo nella maggior parte dei casi (90%), la seconda conseguenza della prima, inquadrabili in un unico continuum fisiopatologico.
Ogni anno, nella popolazione adulta europea, si verificano circa 104-183 nuovi casi di TEV ogni 100.000 persone, con incidenza di TVP di 45-117 casi ogni 100.000 soggetti e di EP (associata o meno a trombosi venose) di 29-78 casi ogni 100.000 soggetti, tasso simile a quello dell’ictus. In Italia, nella popolazione generale, si stimano circa 100 nuovi casi ogni 100.000 soggetti per anno.
Il TEV è una patologia strettamente correlata all’età con un’incidenza annua che va dai 5 casi ogni 100.000 negli adolescenti sotto i 15 anni e valori di 500-600 casi ogni 100.000 persone con più di 80 anni. La malattia è leggermente più frequente negli uomini rispetto alle donne (130 vs 110 casi/100.000 soggetti).
Il TEV rappresenta la terza causa di morte nella popolazione generale ed è la prima causa nei pazienti ospedalizzati, con una stima di 400.000 morti/anno in Europa. Circa il 6% dei pazienti con TVP e il 10% dei pazienti con EP muore entro un mese dall’evento; la mortalità dopo un episodio di TEV può essere più elevata soprattutto nei casi di TEV secondaria a neoplasie. I pazienti oncologici mostrano infatti un rischio di TEV da 4 a 7 volte maggiore rispetto a pazienti non oncologici, rappresentando per loro la seconda causa di morte.
Ad oggi la TEV rimane la principale causa di mortalità materna nei paesi industrializzati, evidenziando un rischio 4-5 volte maggiore di sviluppare eventi tromboembolici, rispetto alle donne non in gravidanza. La TEV è una malattia multifattoriale, risultato della coincidenza di diversi fattori di rischio che possono essere raggruppati come:
- individuali ereditari (ad esempio la trombofilia)
- individuali acquisiti (ad esempio l’obesità, il cancro e l’utilizzo di alcune classi di farmaci)
- risultato di una malattia intercorrente o di una procedura o di un’altra causa che comporta una riduzione temporanea della mobilità (ad esempio a seguito di traumi o interventi chirurgici importanti, patologie mediche acute, gravidanza e puerperio)
L’anticoagulazione è il cardine della terapia della TVP, con l’obiettivo di prevenire la progressione verso l’embolia polmonare e la recidiva della trombosi. Il tasso di mortalità a 30 giorni supera il 3% nei pazienti con TVP non anticoagulati e questo rischio di mortalità aumenta di 10 volte nei pazienti che sviluppano EP.
L’avvento degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) ha generato la necessità di confrontare questi nuovi agenti con i più convenzionali antagonisti della vitamina K (VKA) per il trattamento della TVP. Numerosi studi clinici recenti hanno affrontato questo problema e dimostrato un profilo di sicurezza ed efficacia simile tra le due classi di farmaci.
Con più opzioni terapeutiche, i medici sono ora maggiormente in grado di incorporare considerazioni specifiche sulla malattia e sul paziente nella gestione medica della TVP.
Patogenesi
La Triade di Virchow, descritta per la prima volta nel 1856, implica tre fattori che contribuiscono alla formazione della trombosi: stasi venosa, danno vascolare e ipercoagulabilità. La stasi venosa è il più consequenziale dei tre fattori, ma la stasi da sola sembra essere insufficiente a causare la formazione di trombi.
Tuttavia, la concomitante presenza di stasi venosa e danno vascolare o ipercoagulabilità aumenta notevolmente il rischio di formazione di coaguli. Le condizioni cliniche più strettamente associate alla TVP sono fondamentalmente correlate agli altri elementi della Triade di Virchow; questi includono interventi chirurgici, traumi, tumori maligni, immobilità prolungata, gravidanza, insufficienza cardiaca congestizia, vene varicose, obesità, età avanzata e una storia di TVP.
La trombosi venosa tende a verificarsi in aree con flusso sanguigno diminuito o alterato meccanicamente, come le tasche adiacenti alle valvole nelle vene profonde della gamba. Quando il flusso sanguigno rallenta, la tensione dell’ossigeno diminuisce con un concomitante aumento dell’ematocrito.
Il microambiente, che ne consegue può inibire alcune proteine antitrombotiche che sono preferenzialmente espresse sulle valvole venose, tra cui la trombomodulina e il recettore della proteina C endoteliale (EPCR). Oltre a ridurre importanti proteine anticoagulanti, l’ipossia guida l’espressione di alcuni procoagulanti. Tra questi vi è la P-selectina, una molecola di adesione che attrae le cellule immunologiche contenenti fattore tessutale verso l’endotelio.
Un trombo venoso ha essenzialmente due componenti, un trombo bianco ricco di piastrine all’interno, e da un coagulo esterno costituito da fibrina di globuli rossi. La fibrina forma l’impalcatura esterna, che può determinare l’attivazione tissutale del plasminogeno (TPA) e quindi la trombolisi. All’aumentare del rapporto tra procoagulanti e anticoagulanti, aumenta anche il rischio di formazione di nuovi trombi. Il fattore VIII, il fattore von Willebrand, il fattore VII e la Protrombina sembrano essere particolarmente influenti nel modificare la bilancia verso la coagulazione.
Oltre a promuovere la generazione di trombina, la protrombina inibisce le proprietà anticoagulanti della proteina C attivata, riducendo così la sua azione anticoagulante naturale. Esistono tre vie di questo tipo: il percorso dell’anticoagulante della proteina C (proteina C, proteina S, trombomodulina, ATIII e forse EPCR), il percorso dell’eparina-antitrombina ed il percorso dell’inibitore del fattore tissutale.
Il deficit in questi fattori aumentano il rischio Tromboembolico. Esistono anche numerose varianti familiari che predispongono alla formazione di trombi aumentando i livelli di fattore VII, VIII, IX, fattore di von Willebrand e della Protrombina. La Mutazione del fattore V Leiden, che colpisce fino al 5% dei soggetti di razza caucasica e aumenta il rischio di trombosi di ben 7 volte, infatti il fattore V mutato è resistente all’attività inibitoria della proteina C ed S. Altri fattori di rischio per la formazione di coaguli includono il cancro, i contraccettivi orali, l’obesità e l’avanzare dell’età.
L’obesità e l’uso di contraccettivi orali aumentano sinergicamente il rischio di trombosi. Anche l’avanzare dell’età è associato ad un aumentato rischio di trombosi. Sebbene la causa di ciò rimanga irrisolta, sono stati osservati diversi fattori legati all’invecchiamento: maggiore prevalenza di obesità, aumento della frequenza di malattie e periodi di immobilità prolungata, condizioni mediche concomitanti che aumentano l’attività procoagulante.
Ricerca fattori di rischio per TVP
Una volta diagnosticata una TVP è necessario rivalutare la presenza di fattori di rischio, reversibili (es. allettamento transitorio) o irreversibili (es. allettamento permanente, neoplasia non guaribile, ecc.), in quanto ciò potrà aiutare a stabilire la durata della terapia anticoagulante.
Infatti in alcuni soggetti è indicata la prescrizione di uno studio trombofilico. Riportiamo qui le indicazioni fornite dalle Linee Guida per la Diagnosi e il Trattamento della Trombosi Venosa Profonda SIAPAV (Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare), SISET (Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi), SIDV-GIUV (Società Italiana di Diagnostica Vascolare), CIF (Collegio Italiano di Flebologia), sia per identificare i pazienti da sottoporre a screening per trombofilia (Tab. I), sia per la scelta degli esami da eseguire (Tab. II).
Tabella I
Età giovanile di comparsa dell’evento trombotico, arterioso o venoso (< 45 anni) |
TEV idiopatica |
TEV dopo stimoli di entità trascurabile |
TEV ricorrente |
Trombosi venose in sedi non usuali |
Storia familiare positiva per tromboembolie venose |
Associazione di trombosi con perdita fetale |
Necrosi cutanea indotta da anticoagulanti orali |
Porpora fulminante neonatale |
Tabella II
Tempo di protrombina (come indice di funzionalità epatica) |
aPTT |
Fibrinogeno |
Antitrombina III |
Proteina C |
Proteina S |
Resistenza alla proteina C attivata (se alterata ricerca della mutazione fattore V Leiden) |
Mutazione G20210A del gene della protrombina |
Ricerca del Lupus Anticoagulant (LAC) |
Anticorpi anticardiolipina (e anticorpi antibeta2-glicoproteina I) |
Terapia della TEV
Gli anticoagulanti (vedi figura Anticoagulanti e i loro siti di azione e tabella Anticoagulanti orali) comprendono: Eparine a basso peso molecolare, Eparina non frazionata, Doac: Inibitori del fattore Xa: per via orale (es. Rivaroxaban Apixaban, Edoxaban) e parenterale (Fondaparinux), Doac: Inibitori diretti della trombina: orali (Dabigatran Etexilato) Warfarin.
Strategie anticoagulanti per la trombosi venosa profonda
Esistono diverse strategie per la terapia anticoagulante per i pazienti con trombosi venosa profonda:
- Trattamento iniziale con eparina iniettabile (eparina non frazionata o a basso peso molecolare) seguito dopo diversi giorni dal trattamento a lungo termine con un farmaco per via orale (es. Warfarin, un inibitore del fattore Xa o un inibitore diretto della trombina)
- Trattamento iniziale ed a lungo termine con eparina a basso peso molecolare
- Trattamento iniziale ed a lungo termine con alcuni inibitori Xa orali (Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban)
Eparine a basso peso molecolare
Le eparine a basso peso molecolare (es. Enoxaparina, Dalteparina, Tinzaparin rappresentano il trattamento iniziale di scelta in quanto possono essere somministrate in regime ambulatoriale. L’eparina non frazionata, le eparine a basso peso molecolare catalizzano l’azione dell’antitrombina (che inibisce le proteasi dei fattori della coagulazione), causando l’inattivazione del fattore Xa ed in grado minore, del fattore IIa. Le eparine a basso peso molecolare inoltre hanno alcune proprietà antinfiammatorie mediate dall’antitrombina, che facilitano l’organizzazione del coagulo e la risoluzione dei sintomi e dell’infiammazione.
Le eparine a basso peso molecolare sono caratteristicamente somministrate sottocute in dosi standard peso-correlate (es. Enoxaparina 1,5mg/kg sottocute 1 volta/die o 1mg/kg sottocute ogni 12h o Dalteparina 200unità/kg sottocute 1 volta/die). I pazienti con insufficienza renale possono essere trattati con eparina non frazionata con dosi ridotte di eparina a basso peso molecolare.
Hanno una risposta prevedibile alla dose somministrata. Il trattamento deve essere continuato fino al raggiungimento della completa anticoagulazione con il warfarin (solitamente circa 5 giorni). La transizione ai farmaci orali Rivaroxaban o Apixaban può essere effettuata in qualsiasi momento senza sovrapposizioni. Il passaggio a Edoxaban o Dabigatran richiede almeno 5 giorni di trattamento con eparina a basso peso molecolare, ma non è necessaria alcuna sovrapposizione.
Eparina non frazionata
L’eparina non frazionata può essere utilizzata al posto delle eparine a basso peso molecolare nei pazienti ospedalizzati e nei pazienti con insufficienza renale anche grave (creatinina clearance 10-30mL/min) dal momento che non viene eliminata per via renale. L’eparina non frazionata è somministrata come bolo e infusione per ottenere una piena anticoagulazione (es. un tempo di tromboplastina parziale attivata da 1,5 a 2,5 volte quello del range di riferimento).
Le Complicanze delle terapie epariniche
Comprendono l’ emorragia, la trombocitopenia (meno comune con l’eparina a basso peso molecolare), l’ orticaria e, di rado, la trombosi e l’anafilassi. L’uso a lungo-termine dell’eparina non frazionata provoca ipokaliemia, aumento degli enzimi epatici e osteopenia.
Di rado, l’eparina non frazionata somministrata sottocute causa una necrosi cutanea. I degenti in ospedale e possibilmente anche i pazienti ambulatoriali devono essere valutati per l’eventuale sanguinamento con emocromo con formula seriato e, dove appropriato, con il test per il sangue occulto nelle feci.
Inibitori del fattore Xa
Il Rivaroxaban e l’Apixaban possono essere immediatamente iniziati in monoterapia dopo la diagnosi o utilizzati in qualsiasi momento senza sovrapposizione nel passaggio da un’eparina iniettabile. Il dosaggio del Rivaroxaban è di 15mg per via orale 2 volte/die per 3 settimane, seguiti da 20mg per via orale 1 volta/die per 9 settimane. Il dosaggio dell’Apixaban è di 10mg per via orale 2 volte/die per 7 giorni, seguiti da 5mg per via orale 2 volte/die per 3-6 mesi.
L’Edoxaban richiede un trattamento iniziale di 5-7 giorni con eparina a basso peso molecolare o eparina non frazionata e poi viene somministrato 60mg per via orale 1 volta/die. Per passare da un anticoagulante iniettabile, l’inibitore Xa è in genere iniziato entro 6-12h dopo l’ultima dose di un regime di eparina a basso peso molecolare di 2 volte/die ed entro 12-24h dopo un regime di eparina a basso peso molecolare di 1 volta/die.
Il Fondaparinux, un inibitore parenterale selettivo del fattore Xa, può essere utilizzato come alternativa all’eparina non frazionata o alle eparine a basso peso molecolare per il trattamento iniziale della trombosi venosa profonda o dell’embolia polmonare. È somministrato in una dose fissa di 7,5mg sottocute 1 volta/die (10mg per i pazienti > 100kg, 5mg per i pazienti < 50kg). Ha il vantaggio del dosaggio fisso ed è meno probabile che possa causare trombocitopenia.
Inibitori diretti della trombina
Il Dabigatran 150mg per via orale 2 volte/die è dato solo dopo un periodo iniziale di 5 giorni di trattamento con eparina a basso peso molecolare. Di solito va iniziato entro 6-12h dopo l’ultima dose di un regime di eparina a basso peso molecolare 2 volte/die ed entro 12-24h dopo un regime 1 volta/die.
Antagonisti della vitamina K (warfarin)
Gli antagonisti della vitamina K, come il warfarin, rimangono un’opzione terapeutica di prima linea per i pazienti con tromboembolia venosa, ad eccezione di pazienti selezionati, comprese le donne in gravidanza, che devono continuare a prendere eparina, ed i pazienti con tromboembolia venosa associata al cancro, che devono ricevere un’eparina a basso peso molecolare (prove emergenti indicano che anche l’edoxaban o il rivaroxaban rappresentano delle alternative).
La terapia con warfarin da 5 a 10mg può essere immediatamente iniziata contemporaneamente all’eparina, perché necessita di circa 5 giorni per raggiungere l’effetto terapeutico desiderato. Gli anziani e i pazienti con malattie epatiche necessitano tipicamente di dosi ridotte di warfarin. L’obiettivo terapeutico è un rapporto internazionale normalizzato (INR) compreso tra 2,0 e 3,0. Il rapporto internazionale normalizzato (INR) è monitorato settimanalmente per i primi 1-2 mesi di terapia con warfarin e poi una volta al mese.
I pazienti che assumono warfarin devono essere informati sulle possibili interazioni farmacologiche, comprese quelle con i cibi e i medicinali da banco a base di erbe.
L’American College of Chest Physicians (2021) ha recentemente rilasciato le nuove raccomandazioni per il trattamento del tromboembolismo venoso 1. Si tratta del secondo aggiornamento della nona edizione di queste linee guida di pratica clinica (Note come “AT9”) che erano state pubblicate nel 2012 ed aggiornate nel 2016. Nell’ultimo aggiornamento gli autori forniscono 29 raccomandazioni, di cui 13 considerate forti.
Le maggiori novità, rispetto alle edizioni precedenti, sono relative alla terapia anticoagulante nel TEV, inteso come trombosi venosa profonda (TVP) dell’arto inferiore o nell’embolia polmonare (EP). Per quanto riguarda le fasi del trattamento del TEV è stata introdotta la seguente nomenclatura:
- fase iniziale (i primi 5-21 giorni, in cui viene somministrata terapia parenterale o anticoagulanti orali ad alte dosi)
- fase di trattamento (i primi 3 mesi, in cui vengono somministrate dosi terapeutiche standard come terapia dell’episodio acuto)
- fase estesa (dopo i primi 3 mesi, in cui possono essere somministrati anticoagulanti a dose piena o ridotta in prevenzione secondaria)
- Nei pazienti con TEV acuto, per la fase di trattamento sono raccomandati i DOAC rispetto agli AVK Si tratta di una raccomandazione simile a quella pubblicata nel primo aggiornamento (dove si diceva che i DOAC erano suggeriti rispetto agli AVK), con la differenza che a seguito di ulteriori evidenze è adesso diventata una raccomandazione forte e i DOAC sono raccomandati come prima scelta, in assenza di controindicazioni. Questa raccomandazione si basa sul fatto che i DOAC hanno un’efficacia simile agli AVK nel ridurre il rischio di TEV con un minore rischio di sanguinamenti intracranici.
- Nei pazienti con TEV acuto paraneoplastico, è raccomandato un anti-Xa (apixaban, edoxaban, rivaroxaban) rispetto a EBPM per la fase iniziale e la fase di trattamento. Si tratta di una raccomandazione forte e sostanzialmente nuova rispetto alle edizioni precedenti, in cui veniva suggerita l’EBPM. L’EBPM è stata considerata per anni la prima scelta nel TEV paraneoplastico per la sua maggiore efficacia rispetto agli AVK, per le difficoltà con gli AVK nel mantenere l’INR in range terapeutico (soprattutto se concomitanti chemioterapie), per la via di somministrazione parenterale più affidabile in pazienti con vomito, e per la breve durata di azione che rendeva più semplice la sua sospensione in caso di eventuali procedure invasive o comparsa di piastrinopenia. Adesso invece, in seguito a nuove evidenze, i DOAC sono diventati la prima scelta anche per il TEV paraneoplastico. Tuttavia, poiché edoxaban e rivaroxaban sembrano essere associati a un aumentato rischio di sanguinamenti maggiori gastrointestinali in pazienti con neoplasia gastrointestinale luminale, apixaban o EBPM potrebbero essere preferiti in questo tipo specifico di neoplasie.
- Nei pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi per la fase di trattamento sono suggeriti gli AVK con Targhet di 2,5 rispetto ai Doac. In particolare, la tripla positività rappresenta una controindicazione ai DOAC. I pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono in genere candidati a una terapia anticoagulante indefinita per l’elevato rischio di recidive trombotiche. Nel caso in cui si verifichi una recidiva trombotica in corso di terapia con AVK, escludendo la transizione ai DOAC, le possibili opzioni terapeutiche sono aumento del range INR, passaggio a terapia eparinica o fondaparinux, o aggiunta di antiaggregante piastrinica.
- Nei pazienti con TEV acuto è raccomandata una fase di trattamento minimo di 3 mesi, in assenza di controindicazioni. Al completamento dei 3 mesi, tutti i pazienti dovrebbero essere valutati per eventuale fase estesa. Questa decisione dipende dal bilancio tra il rischio stimato di recidive trombotiche in assenza di trattamento vs. il rischio emorragico in corso di terapia anticoagulante estesa, tenendo in considerazione anche la preferenza del pazienti. Se il TEV è dovuto a un fattore di rischio maggiore transitorio, si raccomanda di non proseguire con l’anticoagulazione estesa. Esempi di fattori di rischio maggiori transitori includono chirurgia con anestesia generale per >30 minuti, ospedalizzazione con allettamento per patologia acuta per almeno 3 giorni, parto cesareo, etc.
- Se il TEV è dovuto ad un fattore di rischio minore transitorio, si suggerisce di non proseguire con l’anticoagulazione estesa. Esempi di fattori di rischio minori transitori includono chirurgia con anestesia generale
- Se il TEV è idiopatico o provocato da fattori di rischio persistenti, si raccomanda di offrire l’anticoagulazione estesa con un DOAC.
- Se idiopatico o provocato da fattori di rischio persistenti in pazienti che non possono ricevere un DOAC, si suggerisce di offrire l’anticoagulazione estesa con AVK.
La terapia anticoagulante estesa non ha una durata predefinita. I pazienti che ricevono l’anticoagulazione estesa dovrebbero essere rivalutati almeno una volta all’anno, o più frequentemente se vi sono cambiamenti significativi dello stato di salute. I farmaci anticoagulanti utilizzati durante la terapia della fase estesa possono essere gli stessi della fase di trattamento, tuttavia è possibile cambiare farmaci in caso di modifiche nelle condizioni o nelle preferenze del paziente.
In queste raccomandazioni viene data preferenza ai DOAC rispetto agli AVK in considerazione del rischio inferiore di sanguinamento, ma l’uso di AVK è comunque accettabile per la prevenzione secondaria del TEV. Queste raccomandazioni sono simili alle precedenti edizioni con la differenza che sono state semplificate, non viene fatta distinzione tra TVP ed EP, ed è stata inclusa una preferenza per i DOAC, mentre l’edizione precedente consigliava semplicemente di proseguire con la stessa terapia dei primi 3 mesi, non essendo strettamente necessario cambiare.
Raccomandazioni relative alla fase estesa
- Nel corso della terapia estesa la dose ridotta di Apixaban (2.5mg x2/die) o Rivaroxaban (10mg/die) è suggerita rispetto alla dose piena di Apixaban o Rivaroxaban. Questa è una raccomandazione nuova, poiché nelle edizioni precedenti non si parlava di riduzione del dosaggio dei DOAC. Questo approccio è stato valutato recentemente in diversi studi ed ha mostrato efficacia nel prevenire le recidive con un ridotto rischio di sanguinamento. In questo modo il bilancio rischio: beneficio diventa più favorevole per la terapia estesa.
- Nel corso della terapia estesa le dosi ridotte dei DOAC sono raccomandate rispetto all’aspirina e la dose ridotta di Rivaroxaban è suggerita rispetto all’aspirina. Si tratta di un’altra nuova raccomandazione.
- Nei pazienti con TEV idiopatico (TVP prossimale o EP) in cui si è deciso di sospendere l’anticoagulante e che non hanno controindicazioni all’aspirina, l’aspirina è suggerita rispetto a nessun trattamento per prevenire le recidive trombotiche. Raccomandazione immodificata rispetto al primo aggiornamento di queste linee guida. Il significato di questa raccomandazione è che, poiché l’aspirina è meno efficace degli anticoagulanti in prevenzione secondaria ed ha un rischio di sanguinamento simile ai DOAC, non può essere considerata una alternativa ragionevole alla terapia anticoagulante nei pazienti candidati a terapia estesa. Infatti, mentre gli anticoagulanti sono associati ad una riduzione del rischio di recidive di TEV>80%, l’aspirina riduce la il rischio solo in un terzo dei casi.
Sommario
La normale fisiologia del sangue consente l’evento coagulativo solo in un particolare condizioni, ma una varietà di stati patologici può alterare l’equilibrio dei fattori pro ed anticoagulanti portando alla formazione patologica di trombi. Sino a pochi anni orsono il trattamento standard della TVP comprendeva l’utilizzo del warfarin associato all’ eparina.
L’arrivo dei DOAC ha completamente modificato le opzioni terapeutiche della TVP; in termine di sicurezza ed efficacia, rispetto alla terapia convenzionale. Dopo oltre un decennio di ricerca, numerosi studi clinici su larga scala hanno dimostrato un’efficacia comparabile tra le due classi di farmaci.
Sebbene il profilo di sicurezza dei DOAC sia stato piuttosto favorevole, il Dabigatran e Rivaroxaban sono stati associati a un aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale in alcuni pazienti selezionati. Al contrario, Apixaban ed Edoxaban sono stati associati a un minor rischio di sanguinamento, negli studi AMPLIFY e HOKUSAI-VTE. I DOAC sono definiti efficaci quanto il warfarin nel trattamento della TVP.